Loredana Carena
Architettura del passato, del presente e del futuro al padiglione Albania della 19.Biennale di Venezia
L’Albania è un Paese ricco di storie e di tradizioni molto differenti tra loro. La sua posizione geografica, infatti, nel cuore del Mare Nostrum, tra l’Adriatico e lo Ionio, ai confini con Grecia, Macedonia settentrionale, Kosovo e Montenegro, ha favorito, nel corso dei secoli, il passaggio di diverse popolazioni. Alcune sono solo transitate, lasciando varie tracce del loro passaggio, altre, invece, si sono insediate stabilmente più o meno pacificamente con la popolazione locale.
Il patrimonio culturale albanese risulta, quindi, ricco di influenze religiose e culturali eterogenee dall’islamica all’ortodossa, dalla cristiana alla laica.
La storia recente dell’Albania, oggi giovane democrazia, è segnata, in modo particolare dal crollo del regime dittatoriale nel #1992. Come tutti i dittatori, Enver #Hoxha (Argirocastro 1908 – Tirana 1985) impose delle regole in modo da arrivare ad un livellamento sociale e culturale. Venne abolita la proprietà privata, le industrie furono statalizzate, fu vietata ogni forma di culto religioso e la repressione da parte della polizia segreta fu durissima.
Dopo gli anni bui dello stalinismo di Hoxha, in Albania si aprì uno spiraglio di luce nel 1992 con le prime elezioni democratiche. Il crollo del regime, però, fu un vero sconvolgimento per un popolo che non era più abituato a pensare e ad agire in autonomia e in libertà.
Una delle prime reazioni contro la dittatura tramontata fu la cancellazione del visibile che potesse ricordare gli anni dell’oppressione. I cittadini, privati della proprietà privata e della libertà d’espressione, iniziarono a rifiutare lo spazio pubblico e gli edifici di regime. “Fu un atto di riappropriazione dell’individualità – racconta Edi #Rama, sindaco di Tirana dal 2000 al 2011 e oggi Primo Ministro – Per dieci anni si è rivendicato lo spazio privato abbandonando quello pubblico. Questo ritorno all’individuo è stato molto traumatico”.
Sono trascorsi circa trent’anni dalla fine della dittatura e l’Albania è una nazione ancora in cerca di una salda identità culturale e sociale. L’architettura gioca un ruolo fondamentale in questa fase di transizione, essendo un mezzo di comunicazione visivo per affermare la specificità di un popolo.

Collage with the collaboration of: XDGA, waterfront promenade, Vlora Kengo Kuma & Associates, Butrint National Park MVRDV, Pyramid of Tirana
La Biennale d’Architettura è l’occasione per riflettere sul passato, sul presente e sul futuro attraverso la lente del costruito. Il percorso espositivo del padiglione Albania è, quindi, diviso nelle tre diverse sezioni temporali.
Il #passato, ovvero la storia del rapporto tra architettura, società e poteri politici è scandito da una cronologia di 100 immagini dedicate a due luoghi simbolici di #Tirana: piazza Skandebeg e la Piramide.
Piazza# Skanderbeg, collocata al centro della capitale, ha subito profonde trasformazioni politiche e spaziali in base ai regimi succedutisi in Albania. Durante l’occupazione austro-ungarica (1916–1918) la piazza, chiamata Kaiser Franz Josef #Platz, simboleggiava l’influenza imperiale. Sotto il dominio italiano, nel periodo della seconda guerra mondiale, divenne piazza Vittorio Emanuele III ed era espressione del regime fascista.
Durante la dittatura di Enver Hoxha, piazza Skandebeg fu ribattezzata piazza #Stalin per rafforzare l’alleanza con l’ex Unione Sovietica, e venne ampliata per accogliere parate militari, con edifici statali monumentali a sottolineare il potere centralizzato.
Dopo la caduta del comunismo negli anni ’90, tornò a chiamarsi Piazza Skanderbeg, segnando il ritorno all’identità nazionale. La sua ampiezza, però, dominata dal traffico, la isolava dalla vita pubblica.
Nel 2017 la piazza venne sottoposta ad un restyling, firmato 51N4E, in modo da inserirla omogeneamente nel tessuto urbano. L’ampio spazio della piazza venne pedonalizzato, utilizzando pietre locali e inserendo aree verdi. Questa trasformazione ha spostato il ruolo della piazza da simbolo del potere statale a spazio di coinvolgimento pubblico, in linea con le aspirazioni europee dell’Albania.
La Piramide di Tirana, simbolo del regime comunista isolazionista, fu costruita nel 1988 in onore del dittatore Enver Hoxha e progettata da un team guidato dalla figlia, Pranvera Hoxha.
Dopo il crollo del comunismo, la Piramide perse la sua funzione originaria e visse decenni di incertezza, venendo utilizzata come centro congressi, sede televisiva, base #NATO durante la guerra del Kosovo e persino discoteca, diventando parte della cultura giovanile della città.
Nel 2010 il Partito Democratico, guidato dal Sali Berisha, propose la demolizione della Piramide per costruire un nuovo complesso parlamentare, definendola un retaggio dell’epoca comunista. L’ipotesi suscitò un’ondata di indignazione, sfociata in una petizione cittadina del 2011 con decine di migliaia di firme per preservare l’edificio. Attivisti, architetti e cittadini consideravano la Piramide come pezzo della memoria del Paese e parte integrante del tessuto architettonico e storico.
Con il ritorno al potere del Partito Socialista di Edi Rama si preferì la via di un riutilizzo adattivo e, nel 2017, il governo commissionò allo studio olandese MVRDV la trasformazione della Piramide. Si mantenne la struttura in cemento, ridisegnando gli interni per accogliere un centro giovanile e tecnologico con scale colorate, spazi aperti e aule modulari. La sommità divenne accessibile al pubblico, offrendo vedute panoramiche sulla città.
Oggi la Piramide è il simbolo della transizione dell’Albania dall’autoritarismo all’apertura, dalla nostalgia alla reinvenzione.

Diego Delso, “Pyramid, Tirana, Albania”, photograph, 2000’s
Un altro fattore temporale, il presente, è esemplificato nel padiglione Albania dal film The Albanian Calls in cui sono raccolte oltre 30 interviste, fatte ad architette e architetti internazionali attivi nel paese, in vista della prossima pubblicazione del libro omonimo dedicato all’architettura albanese.
L’opera analizza l’agentività del ruolo dell’architetto, il mutato rapporto tra spazio pubblico e privato e il legame tra architettura e politica. The Albanian Calls esamina come l’architettura plasmi un’identità emergente, mentre la visione totale del Paese induce una riflessione sullo stato della professione e sul ruolo dell’architetto in un contesto straniero.
I dialoghi sono intercalati da due film dell’Archivio Nazionale del Cinema Albanese (AQSHF): Shqipëria Turistike di Mark Topallaj (1974), un’opera propagandistica volta ad attrarre turisti da Stati marxisti- leninisti durante l’isolamento, e Shqipëria 1991 di Xhovlin Hajati e Reiz Çiço che documenta il Paese in quel preciso momento storico.
Il #futuro del panorama architettonico albanese, presentato nella terza sezione, è esemplificato da visori stereoscopici che mostrano 56 studi, ognuno rappresentato da 7 immagini di progetti realizzati in Albania.
Nel 2004, l’allora sindaco di Tirana, Edi Rama, invitò l’olandese Berlage Institute a contribuire allo sviluppo della città, su iniziativa dell’architetto Elia Zenghelis, cofondatore di #OMA, Office of Metropolitan Architecture, membro della giuria del concorso tenutosi nel 2003 per la redazione di un piano regolatore del centro cittadino. La collaborazione fruttò ampie ricerche e numerose proposte per la crescita metropolitana.
Zenghelis (1937-2024) svolse un ruolo cardine nella trasformazione architettonica di Tirana, rafforzando il coinvolgimento internazionale nel cambiamento urbanistico della città. Il suo legame con il Berlage Institute favorì interventi orientati alla ricerca e la sua pratica di insegnamento, caratterizzata da un rigoroso approccio critico – intellettuale, era volta a considerare l’architettura sia come atto formale sia come atto politico.
I temi sull’identità architettonica dell’Albania e sulla relazione tra società ed architettura sono approfonditi con un ampio public program, coordinato da Andi Arifaj e da Adonel Myzyri e realizzato in collaborazione con KoozArch.
L’interesse su queste tematiche proseguirà anche dopo la chiusura della 19.Biennale di Venezia attraverso un podcast realizzato con KoozArch.
Informazioni
19. Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia, 10 maggio – 23 novembre 2025
PADIGLIONE ALBANIA
Sede: Arsenale
Curatrice: Anneke Abhelakh
Assistenza curatoriale: Eva Marie Pobeda Ferrand
Graphic Design: Linda van Deursen
Spatial Design: Samuela Hidri & Guust Selhorst
Coordinamento Public Program: Adonel Myzyri & Andi Arifaj Film: Konstanty Konopinski in collaborazione con Anneke Abhelakh Project Manager: Alessandra Biscaro
Espositori del padiglione Albania: 51N4E; Aires Mateus e Associados; Álvaro Siza; Andrea Caputo; Anupama Kundoo Architects; Archea Associati; Archi-Tectonics; arquitectura G; Barozzi Veiga; baukuh; Benedetta Tagliabue – EMBT Architects; BIG; Bofill Taller de Arquitectura; BOLLES+WILSON; Camilo Rebelo; Casanova+Hernandez; CEBRA; Christian Kerez; CHYBIK + KRISTOF; CITYFÖRSTER; Coldefy; Davide Macullo Architects; DILLER SCOFIDIO + RENFRO; EAA Emre Arolat Architecture; Eduardo Souto De Moura; Elemental Architecture; Ensamble Studio; Estudi d’arquitectura Toni Gironès Saderra; GG-loop; Herzog & de Meuron; Kengo Kuma & Associates; KUEHN MALVEZZI; Lina Ghotmeh — Architecture; Luca Dini Design and Architecture; Mario Cucinella Architects; MASS STUDIES; MVRDV; NOA; Nuno Melo Sousa; OFFICE KGDVS ; OMA; OODA; Oppenheim Architecture; RCR Arquitectes; Sam Chermayeff Office; SelgasCano; Shigeru Ban Architects + Jean de Gastines; Stefano Boeri Architetti; Steven Holl Architects; Studio Fuksas; Studio Gang; Studio Precht; Taller Hector Barroso; Toyo Ito & Associates, Architects; XDGA; Yashar Architects.
(Foto ufficio stampa: “51N4E Skanderberg Square”, 2008 – 2017, Tirana, Albania, @Filip Dujardin)
Loredana Carena, 8 maggio 2025 |©Riproduzione riservata
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